E’ stata dura cercare qualcosa da condividere nell’ultima settimana, le notizie sono state grossomodo o noiose, o non ho avuto tempo di fare i dovuti approfondimenti per capire se valeva la pena condividerle o meno.
Così riprendo a scrivere mettendo sul piatto alcune notizie riguardanti il famigerato Green Deal, presi da tre giornali di taglio diverso.
Il primo è La Verità, articolo invero della scorsa settimana ma che da l’idea di cosa ci sia alla base di questa follia verde. Contenuto gratuito, e quindi accessibile a tutti, punto di vista di un giornale di destra.
Poi c’è L’Indipendente, fondato da Matteo Gracis che a suo tempo ha orbitato intorno al MoVimento 5 Stelle. A questo link l’articolo disilluso di chi forse ci credeva, o forse no.
Infine cito dalla newsletter Diritto&Fisco, di Italia Oggi, con l’editoriale del direttore Marino Longoni.
Volevamo essere i primi della classe. I più green. Perciò abbiamo lanciato un piano ambizioso, il Fit for 55. Che prevedeva di ridurre le emissioni si CO2 del 55% entro il 2030 e di azzerarle entro il 2050. Dopo soli 5 anni si è rivelato un piano utopistico. Addirittura devastante per alcuni comparti industriali, come quello automobilistico, orgoglio dei tedeschi che, dopo essere stati i più convinti sostenitori di questo progetto, ora ne chiedono l’attenuazione e lo slittamento di alcune sue misure. Non è un caso se pochi giorni fa, il 30 gennaio, la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha convocato i responsabili dell’industria europea per mettere a punto una revisione dei piani green che li renda più aderenti alla mutata realtà economica e politica. L’associazione europea dei produttori di auto ha naturalmente brindato a questo cambio di atteggiamento della Commissione, ma ricordando che nel 2024 il settore ha già perso 54 mila posti di lavoro, più che durante la pandemia, e che nel 2025 la situazione potrebbe anche peggiorare.
Il problema però è che, anche se si riuscissero a mettere da parte i furori ideologici degli ambientalisti e a superare i loro veti a livello politico, servono molti investimenti per fare un’industria pulita: acciaio, cemento, chimica, sono settori ancora molti inquinanti, per riconvertirli servono finanziamenti colossali. Inoltre, se si mettono i dazi sul carbonio e si inaspriscono semplicemente le regole ambientali, le imprese tenderanno a spostarsi in altri paesi, più accoglienti e meno invasivi dal punto di vista normativo. L’Europa rischia di trasformarsi in un deserto produttivo. Anche perché altri paesi, come gli Usa di Trump, sarebbero pronti ad accoglierle a braccia aperte, con la promessa di agevolazioni al posto dei vincoli normativi. E quello che vogliamo?
La situazione ha del grottesco, con un legislatore europeo che, essendosi posto come obiettivo assoluto quello della riduzione delle emissioni di CO2, pur essendo l’Ue responsabile solo del 6,4% delle emissioni mondiali (contro il 34% della Cina e il 12% degli Stati Uniti), si è imposta vincoli talmente assurdi da portare al collasso diversi settori produttivi, tra cui quello automobilistico in cui aveva l’eccellenza.
Quindi si torna al punto di partenza: se il Green deal non è più sostenibile e già si parla di sostituirlo con un Clean industrial deal, chi finanzia la trasformazione verso un’impresa più pulita? Secondo il rapporto Draghi servirebbero almeno 750 miliardi, ma questo implicherebbe la necessità di un debito comune, come è stato fatto con il Pnrr. E la Commissione europea si è già detta contraria. Quindi?
Lo stesso problema della mancanza di finanziamenti si pone su un’altra grande “conquista” europea, quella relativa alla direttiva sulle case green, ovvero all’obbligo di ristrutturare in pochi anni gran parte del patrimonio immobiliare per renderlo più efficiente dal punto di vista energetico. Ottima idea: a chi non piacerebbe vivere in case più confortevoli con minori spese di riscaldamento? Il problema è che secondo le stime della stessa Commissione europea sarebbero necessari investimenti annui per 275 miliardi di euro. Già. Ma chi paga?
Qui di seguito invece l’approfondimento, ad accesso gratuito, di un quotidiano dal taglio più economico che non politico (e diretto rivale de Il sole 24 Ore).
Ci leggiamo alla prossima!